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Inviato da avatar Alessandro Marzocchi il 24-09-2019 alle 15:09

Martedi 24 settembre 2019 H 15,10

Bio:
Corsico, 5 agosto 1924, giurista e politico.
Laureato in giurisprudenza all'Università di Pavia, borsista Fulbright all’Università di Yale fra il 1949 e il 1950, professore di Istituzioni di diritto processuale a Pavia, ha esercitato la professione di avvocato.
Ministro dell'Interno dal 1978 al 1983, successivamente Ministro di Grazia e giustizia, Ministro della Difesa, Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura dal 2002 al 2006.




Attualissimo e prezioso è il ricordo di Guido Calogero; “maestro del dialogo”, come di lui disse Norberto Bobbio, un altro padre della nostra democrazia repubblicana. Un dialogo da valere come principio morale a tutti i livelli, qualunque siano le ragioni dell’incontro e dello scambio fra le persone. Massimamente nella competizione politica dove le parti in gioco disputano sul potere, il dialogo deve essere autentico e severo.
Calogero ne parlava già sui fogli dell’antifascismo clandestino negli anni trenta e primi anni quaranta quando grande era il consenso a Mussolini ma già si avvertiva, con la fine della guerra, la caduta del nazifascismo. Ecco perché è prezioso il ricordo dell’insegnamento di Guido Calogero; la democrazia, di cui c’è chiara lettura nella nostra Costituzione repubblicana, sembra oggi minacciata dall’inganno di un falso dialogo, quello, ormai generalizzato fra i “giocolieri” della tastiera digitale.
Certo, come sempre accade, la comunicazione tecnologia è a disposizione di tutti, ma, in effetti, se ne appropria compiutamente solo una minoranza. Solo una minoranza, infatti, è in grado di servirsi di un “blog” dove il proprio pensiero è sufficientemente spiegato tanto da rendere possibile un rapporto dialogico con altri soggetti, ugualmente preparati. Ma la gran massa delle persone, le moltitudini si fermano al “tweet” o perché non sono in grado di andare oltre (è questa una constatazione che bisogna avere il coraggio di ammettere; lo ammette, indirettamente, l’art. 3 della stessa nostra Costituzione repubblicana) o perché si sentono appagate dal “botto” elementare del “tweet”. Trovandovi, addirittura, il gusto e il piacere del gioco.
Di più; sembra incontenibile la voglia di stare, attraverso il “tweet” quotidiano, nella straordinaria galleria della rete, accanto a nomi di personaggi conosciuti in tutto il mondo; la rete, insomma, sentita come una formidabile fuoriuscita dell’anonimato. Muore l’”uomo qualunque” e nasce il “follower”, pronto agli ordini e al comando del personaggio di riferimento. E così si chiude senza alcun dialogo l’aggancio fra l’uomo forte e il “suo popolo”.
“Dalla democrazia ad una postdemocrazia a guida (o dominazione) tecnologica”? Non è affatto da escludere.
Ma se questo è il paesaggio politico che abbiamo davanti si impone la classica domanda ricorrente di volta in volta nella storia: che fare? Che fare per non perdere il valore e la ricchezza della democrazia?
Io non credo – ma vorrei tanto essere contraddetto – che le nuove manifestazioni digitali, i social ci siano di aiuto. Comunque ci sono sempre altre risorse su cui puntare.
Parto da una osservazione che mi pare corretta.
Nel nostro paese esiste uno scarto fortissimo fra la estensione dell’area del volontariato dove c’è autentico dialogo fra persone che partecipano a mille iniziative di solidarietà e l’area della militanza politica che, invece, è modesta e dove il dialogo manca o è povero e scarso. Una realtà negativa che fa perdere alla Repubblica il respiro necessario di cui ha bisogno. Occorre rovesciare il tavolo; ma come? Per esempio introducendo massicciamente nel dibattito politico, nel dibattito fra i partiti il grande tema dell’ambiente, del cambiamento climatico, i temi, insomma, dello sviluppo sostenibile che sfuggono alla presa nazionalistica; temi che hanno per oggetto beni avvertiti universalmente quali beni comuni, come la “cura del pianeta” di cui parla, con espressione felicissima Papa Francesco. Già in tutto il mondo i giovani dialogano su queste problematiche e continueranno a farlo nei partiti di elezione pur sapendo che le decisioni si prendono in questa area. Il sistema, che poi è l’area della democrazia, avrà un sicuro vantaggio perché, per dirla come Calogero, dove c’è dialogo c’è democrazia.
                        Virginio Rognoni

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