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Alessandro Marzocchi

4 anni fa

Mercoledi 25 settembre 2019 H 15,50

Bio:
Editor-In-Chief di Computer Programming, la più antica e la più conosciuta rivista di programmazione in Italia.
Sono laureato in ingegneria ("delle informazioni", recita la pergamena) ma sono stato sempre affascinato dagli aspetti più umani della conoscenza e del pensiero tanto che ho finito per affrontare un percorso sistematico nella filosofia. Ho passato una vita a dare possibilità ai tecnologi di confrontarsi con il mondo circostante perché a me sembra che nel mondo tecnologico e scientifico domini una incomprensione di fondo degli aspetti più umani della società e della cultura.
Lavoro in un istituto di ricerca economica e mi occupo di sistemi di gestione della conoscenza, tra le altre cose sono uno dei due organizzatori del convegno nazionale e-privacy in cui si confrontano le tematiche di un mondo sempre più digitale ed interconnesso, nel quale le possibilità di comunicazione ed accesso alla conoscenza crescono continuamente, come pure crescono le possibilità di tecnocontrollo degli individui sin nei più intimi dettagli.
Da quasi 20 anni e-privacy mette a confronto, con un approccio interdisciplinare, gli specialisti in informatica, i giuristi che si occupano di nuove tecnologie, gli psicologi, gli educatori, gli operatori privati a quanti operano nel settore pubblico ed istituzionale.
Sono stato candidato alle recenti elezioni europee con il Partito Pirata. Una passione, quella politica, che data indietro molto tempo prima ancora del 1993 anno in cui presi la mia prima tessera del Partito Radicale a cui, dopo un quarto di secolo ininterrotto, sono ancora iscritto.


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° - E’ ancora attuale l’affermazione di Guido Calogero sull’importanza del dialogo? Calogero scriveva nei primi anni ‘40, il contesto era la transizione da dittatura a democrazia, ci stiamo avviando ad una postdemocrazia a guida (dominazione?) tecnologica?
Digitale e Internet hanno cambiato la rappresentanza politica. La dominazione tecnocratica sul campo politico, imposta dall’applicazione della tecnologia disponibile (ciò che Evgeny Morozov chiama soluzionismo) ha prodotto nuove forme di violenza, totalitarismo e schiavitù, trasportando nella forma digitale i problemi della prevaricazione fisica. L'illusione cyber-utopica per cui l’applicazione della tecnologia sarebbe buona in sé perché permetterebbe di lasciar emergere una intelligenza collettiva allo stesso modo in cui un infinito numero di scimmie battendo a caso su una tastiera di generare la Divina Commedia, applicata alla politica ci sta facendo sprofondare in un inferno dantesco della democrazia.

Un attivista politico moderno, riformatore e propositivo, oggi deve operare nella frattura aperta dalla transizione tra la società dell'informazione che è la società dei partiti-massa novecenteschi che hanno adottato le forme della comunicazione tecnologica per propaganda, indottrinamento e condizionamento delle masse, e la società della conoscenza, quella in cui l'informazione trova il proprio valore nella sua necessità e verità. L'idea che infiniti emittenti ciascuno dei quali ripete ossessivamente la propria (post-)verità (infiniti giornali, infiniti siti, infiniti media) è il parallelo, nel campo dell’output, delle infinite scimmie nel campo dell’input. Se si dovessero ascoltare tutte le opinioni per farsi un’idea autonoma, che è ciò che la società dell’informazione propone come libertà, non si avrebbe tempo per vivere, e se pure lo si avesse, non sarebbe comunque sufficiente per completare il compito banale anche solo di assorbire tutte le infinite informazioni dalle infinite fonti. La società dell’informazione impone necessariamente all’individuo un’azione basata sull’ignoranza.
Infinite scimmie e infiniti media non vanno presi come fondamento di una nuova società, non importa quanta tecnologia ci si metta in mezzo, o quanto razionale sia il metodo usato per comporre questa informazione. L’illusione di fare una sintesi delegando la tecnologia stessa, gli algoritmi, il machine learning o l’intelligenza artificiale, come forma suprema di razionalità collettiva programmata, è ancora più grave dell’illusione cyber-utopica stessa. Gli algoritmi privilegiano l’utilità dei committenti e non quella dei cittadini. In Facebook l’algoritmo predilige i commenti con opinioni oppositive perché questi contrasti incentivano la reazione basata sulla dopamina ed intensificano la partecipazione combattiva che, a sua volta, favorisce il profitto per la presentazione (impression) dei messaggi pubblicitari. Sui social si è più combattivi perché è l’algoritmo che crea questo combattimento per fare engagement. L’algoritmo, per vendere di più, si comporta come il peggiore dei cronisti che riporta solo le citazioni più indecenti, scabrose o imbarazzanti.
Oggi c’è molto “scambio” informativo nella tecnologia ma se si delega un intermediario tecnologico a gestire lo “scambio” verrà sempre prediletta la violenza verbale perché è utile esattamente come una guerra sarebbe utile ad un regime. D’altronde le regole base dei social media manager, di cui si sentono anche molto fieri, sono quelle di Göbbels sulla propaganda nazista.
Il dialogo è il fondamento su cui poggia ogni verità. Anche in campo scientifico è evidente l’illusione del raziocinio assoluto. Se non c’è accordo sulle basi del discorso scientifico, i risultati ancorché metodologicamente fondati, divergono senza speranza. C’è quindi bisogno di verità. in termini di diritti aletici, senza la quale è impossibile, non giungere da qualsiasi parte, ma proprio staccare la nave dagli ormeggi di qualsiasi viaggio della conoscenza. È impossibile tracciare qualsiasi rotta.
Solo l’alba di un nuovo diritto umano, il diritto alla conoscenza, che è un diritto nuovo, tutto intero, e che si presenta oggi nella storia del mondo come necessario complemento alla forza del dialogo, può permettere che sorga il sole sulla Società della Conoscenza. Solo così le navi che finora hanno navigato a vista nella notte dell’informazione, senza neppure il supporto delle stelle fisse, potranno tracciare rotte sicure verso il benessere.

° - Il dialogo presuppone affermare, parlando o scrivendo, ed anche ascoltare: quanto è disposta all’ascolto la società di oggi?
Oggi c’è molta disponibilità all’ascolto. I social ripetono il contrario, ma molti sfruttano la ricchezza informativa per comprendere la realtà e discuterne in modo adulto e consapevole. Queste persone non vengono valorizzate da chi ha bisogno di masse urlanti da far indignare a comando. Se dobbiamo parlare di regime quando indichiamo il risultato della concentrazione dell’esperienza utente nel campo del web, allora dobbiamo dire che a differenza dei regimi storici, che almeno si basavano su forme di indottrinamento sub-culturale, dando quindi comunque un valore ad una, pur distorta, cultura, quello attuale degrada l’umano ad una interazione animale basata su interazioni stimolo-risposta, per il tramite dell’indignazione. I trigger di questa degradazione sono i temi dominanti, i trending topics sulla politica del giorno sapientemente collegati ai temi divisivi che di volta in volta sono rinvigoriti dalla esaltazione di notizie, talvolta di portata infima, o false, o addirittura create appositamente.

Molte persone invece sarebbe ben disposte ad ascoltare e a contribuire ad un dibattito online serio, valido, posato, ma non riescono a mantenersi focalizzate perché il web ormai è diventato una trappola per l’attenzione. Bisogna imporsi molta autodisciplina per sfuggire a questa mostruosa macchina che rinforza le reazioni istintive. Il web moderno, non solo i social che sono la punta dell’iceberg, ma tutta la progettazione di quella che viene chiamata esperienza utente dei siti online, è costruita per catturare l’attenzione attraverso forme subdole di feedback stimolo-risposta. Tutti vivono l’esperienza di sedersi di fronte al browser e venire catturati da una sorta di Triangolo delle Bermuda temporale, in cui non si sa come le ore della propria vita sono sparite. Questo è il risultato atteso della user-experience moderna: intrappolare l’utente.

° - In particolare, quanta attenzione riceve il dialogo nelle nuove manifestazioni digitali, nei social?
Nei social il singolo resta intrappolato nella propria principale connotazione: essere il prodotto in vendita. Il prodotto esposto in tante vetrine frammentate e parallele, le discussioni, non contribuisce ad alcun dialogo. Che dialogo potrebbe mai esserci tra le scatole di corn-flakes allineate su uno scaffale del supermercato? In questi social, poiché è esclusivamente egoistica la motivazione cosciente oppure incosciente, cioè indotta dalla macchina che incentiva la risposta dopaminica, non c’è posto per alcun tipo di comprensione di tutti gli altri prodotti sullo stesso scaffale, il social. Dove non c’è comprensione non c’è perdono; non c’è la volontà d’intendere che a sua volta aprirebbe alla possibilità di una critica rispettosa; non c’è interesse, su cui può anche basarsi la tolleranza o anche la disponibilità alla conversione. Il dialogo non è impedito da quel vetro davanti gli occhi dell’utente, con la sua tangibilità, oltre il quale si sarebbe il mondo online, ma è impedito dall’uomo al di qua del vetro che, esposto come in vetrina, non trova più limiti al suo egoismo. L’Io, se è social, non è più in gabbia ma in vetrina in un sistema di vendita circolare in cui l’acquirente alla fine è l’Io stesso, in questa enorme macchina in retroazione che genera soldi per il mediatore e rabbia per la società. Più rabbia, più soldi.

° - Sono necessarie regole per il dialogo?
Negli ultimi trent’anni abbiamo vissuto ogni sorta di criminalizzazione e censura sulla pelle del web. Per tutelare le posizioni dominanti o per banale ignoranza, si è scaricato sul web ogni sorta di provvedimento restrittivo. Ogni nuova regola ha finito per condizionare in modo negativo le interazioni online e ha trasformato in catene gli strumenti web di liberazione della conoscenza.

Si deve prendere atto che la cultura non è riuscita a proporre altro modello per dominare le masse disorientate che si sono affacciate online se non il manuale della propaganda di Göbbels, che impone una permanente guerra social.
Cercare qualcosa che ci permetta di sviluppare confronto, dibattito e dialogo è di grande attualità per contrastare quello che il filosofo Aldo Masullo chiama social senza società. I social sono un ambiente di brutale individualismo dove il livello di civiltà non ha superato quello tribale.
«Regole per il dialogo» a prima vista sembra una cosa innocua come definire i tempi di parola in un'assemblea per permettere a più persone di esprimersi, cioè uno strumento per garantire condivisione e inclusione, invece si tramuta troppo facilmente nel suo contrario.Si arriva a parlare di «impedire i discorsi di incitamento all’odio» e poi di chiedere la censura delle opinioni che non accettano il perimetro auto-definito dell’ortodossia politica in vigore.
In Europa due paesi, Germania e Francia, hanno introdotto leggi che chiedono agli intermediari di intervenire nella censura.
Da un recente sondaggio sappiamo che due terzi dei cittadini tedeschi fanno "molta attenzione" alle cose che dicono in pubblico. Siamo ritornati ad una situazione in cui c’è paura di esprimersi, perché alcuni temi sono sensibili o tabù, e altri infastidiscono il potere. È questa la società aperta a cui pensavamo?
Stiamo assistendo ad uno strano gioco delle parti in cui i poteri pubblici si svestono della propria autorità per chiedere alle piattaforme di agire in autonomia, gli stati agevolano le organizzazioni a «farsi giustizia da soli» per non attivare i processi giudiziari con la loro pedante e puntigliosa attenzione per i diritti dei cittadini. In cambio le piattaforme godono di una considerevole impunità per qualsiasi violazione dei diritti sui propri utenti, nonché un grande lassismo rispetto alle leggi del consumo in relazione alle loro offerte al pubblico che non vengono rispettate con la scusa dell’assenza di un prezzo evidente del servizio.
Ma il gioco sta forse per finire. È recente la proposta di Facebook al governo francese di istituire un Garante dei social network, a cui delegare operazioni di censura. Il che è ancor peggio: regole, reati, controlli, sanzioni e authority, impongono azioni immediate, filtri automatici, intelligenza artificiale e via dicendo, ovvero alti costi di gestione, che sollevano lo scalino d’accesso nel mercato della conoscenza online, con l’obiettivo di mantenere limitati gli intermediari con cui lo Stato può intrattenere un rapporto privilegiato.
Una saldatura pericolosa tra le tendenze totalitarie della democrazia e quelle oligopolistiche del mercato dell’informazione.
Le tecnologie di condivisione della conoscenza basate su software libero e Internet sembravano aprire una prospettiva di benessere collettivo non intermediato né dallo stato nazionale né dal mercato globale. Sarà un caso che, opportunamente istigata sui social, la massa stia adesso chiedendo a gran voce esattamente ciò che è contro i propri interessi invece di più libertà, più dialogo, più conoscenza?

«Gli uomini che aspirano ad essere liberi difficilmente possono pensare di rendere schiavi gli altri. Se cercano di farlo, non fanno che rendere più strette anche le proprie catene di schiavitù».
(Gandhi)

 

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